presentazione libro

 

Piergiorgio Odifreddi
CARO PAPA, TI SCRIVO

Un matematico ateo a confronto con il papa teologo
Arnoldo Mondadori Editore

 

Con l’ Autore ne parlerà Moni Ovadia

Lunedì 16 maggio ore 18.30
Teatro Franco Parenti MILANO
Ingresso libero fino ad esaurimento posti

Nell’autunno del 1959 Piergiorgio Odifreddi varcò la soglia del Seminario di Cuneo. La sua intenzione era quella di diventare un giorno papa, e benedire da una finestra di Piazza San Pietro la folla estasiata. Ma presto imparò che «il cammino che porta al soglio pontificio è più accidentato e tortuoso di quanto un bambino avesse ingenuamente potuto immaginare». E, soprattutto, che «per poter un giorno comandare bisognava iniziare subito a obbedire» e a essere rispettosi: cosa che già allora non gli piaceva particolarmente. Cinquant’anni dopo, il matematico impertinente ricorda quei tempi e, contenendo per una volta il suo abituale tono urticante e provocatorio, scrive con grande rispetto e sincerità a chi papa lo è diventato per davvero. Anche se, da scienziato, non abiura al dovere intellettuale di rimanere saldamente ancorato ai fatti della realtà fisica, storica e biologica. Ed è dunque costretto a confutare punto per punto il teologo Joseph Ratzinger, che crede invece in ciò che va «oltre» la realtà e sconfina nella metafisica, nella metastoria e nella metabiologia. In questa lettera si confrontano così due metodi, due atteggiamenti, due visioni del mondo. Da un lato il «comprendere per credere», che accetta prudentemente di dar credito soltanto a ciò che si capisce e si conosce. E dall’altro il «credere per comprendere», che si azzarda a scommettere su ciò che ancora non si capisce o non si conosce, nella speranza che tutto poi si chiarificherà o giustificherà. Ma, soprattutto, in questa lettera si contrappongono due Credi. Da un lato, il Credo canonico dei fedeli, commentato da Ratzinger nella sua memorabile Introduzione al cristianesimo. E dall’altro il Credo apocrifo dei razionalisti, enunciato da Odifreddi in una lettera che si presenta come un’altrettanto memorabile introduzione all’ateismo

L’Uomo che amava solo i numeri: la storia di Paul Erdös, un genio alla ricerca della verità matematica

 
Con questo libro Paul Hoffman ci racconta la vita di Paul Erdös (Budapest 1913 – Varsavia 1996), geniale ed eccentrico matematico ungherese, che dedicò letteralmente tutta la sua vita alla ricerca matematica. Erdös fu il matematico più prolifico del Novecento (circa 1500 i suoi lavori pubblicati, soprattutto nel campo della Teoria dei numeri): egli non solo era alla continua ricerca di soluzioni a problemi dati, ma anche alla ricerca dei problemi stessi, che proponeva e condivideva con chiunque fosse interessato. Senza fissa dimora, accompagnato solo da una valigia e da un sacchetto di plastica, Erdös viaggiava da una nazione all’altra; sopravvisse soltanto grazie alle cure degli amici matematici, felici di poterlo ospitare in cambio di contributi alle loro ricerche e di nuovi problemi da indagare. Il suo motto fu “another roof, another proof” (“un altro tetto, un’altra dimostrazione”) e numerosissime furono le sue collaborazioni, tanto da far nascere il cosiddetto “numero di Erdös” assegnato ad personam. Il “numero 1″ è assegnato ai matematici che hanno lavorato con lui (i numeri 1 nel mondo sono 462!!!), mentre il “numero 2″ viene assegnato a chi abbia lavorato con un “numero 1″ e così via.
La collaborazione e la condivisione erano aspetti fondamentali nella ricerca di Erdös, che si impegnava anche nello scoprire e nell’incoraggiare nuovi talenti matematici.
“Vegre nem butulok tovabb”
(“E infine mai diventerò più stupido”)
[Epitaffio di Erdös]

da leggere…

Amélie Nothomb parte da una situazione presente nei paesi opulenti: il reality televisivo e la partecipazione (emotiva) del pubblico; e lo estremizza.
Immagina, infatti, che questo si svolga in un campo di concentramento, che abbia come protagonisti kapò ed internati, rastrellati nelle strade di Parigi, che non solo siano trattati duramente, ma che vengano uccisi davvero.
L’idea del reality non è originale, lo è invece avere scelto il campo di concentramento, ossia la Memoria più atroce e terribile, che il ‘900 dovrebbe aver lasciato in eredità nella coscienza di ciascuno.

Qui la Nothomb gioca su due elementi:
da un lato sui rapporti nel campo di concentramento tra vittime e carnefici e sui rapporti delle vittime tra loro; dall’altro sui telespettatori, (e l’opinione pubblica), visti attraverso l’audience.

Il mondo dei telespettatori, che diventa la società tout court, ha soltanto un volto, non tante sfaccettature.
Il pubblico -ci fa capire la Nothomb- ha bisogno di identificazione-partecipazione nello spettacolo e, poiché l’identificazione-partecipazione si consuma rapidamente, ha bisogno di stimoli sempre più forti, che lo eccitino, che lo sorprendano fino a coinvolgerlo direttamente. Quindi quanto più lo spettacolo è atroce e diretto tanto più sale l’audience. Il pubblico tuttavia non si riconosce, condanna gli altri (spettatori), si fa innocente.

Quella che ne viene fuori è una rappresentazione ideologica o, se vogliamo, è il sentimento che la Nothomb proietta su una società la cui complessità si riduce a tal punto che la fa diventare completamente omologata, incapace, cioè, di esprimere individualità, rivolta.

Due sono i protagonisti, intorno ai quali scorrono gli altri: la bellissima Pannonique (definita nel campo CK2 114), colei che cerca, sperimentando(si), di conservare intatta la sua purezza, autonomia di giudizio e che, per questo, catalizza in sé amore, ammirazione, consenso, ma anche gelosia, risentimento; e la kapò Zdena, che trova la forza della propria identità nella sua capacità istintiva di picchiare, insultare, imporre, non provare pietà, e, per questo, viene odiata da spettatori e internati, ma che, innamorandosi ossessivamente di Pannonique, cambia e con un colpo di scena…..

Acido solforico è un romanzo che nasce da un’ideologia: l’individuo può essere oggi facilmente manipolato, senza che lo creda e lo pensi; e tuttavia esiste anche una minoranza, che vive criticamente… in molti casi la sua impotenza.
Quanti oggi in Italia rifiutano, infatti, “Il grande fratello” o similari non solo per ideologia, ma perché non vi provano piacere? Una minoranza forse, ma larga.

PERLE AI PORCI

Settembre il giorno della prima campanella. Il professor Perboni prende servizio come docente di Lingua e letteratura inglese all’Istituto tecnico De Bernardi nel corso C. Il più ostico, a detta della vicepreside. Un corso come tutti gli altri, è convinto Perboni, lui che con svariati anni di insegnamento alle spalle, prima da precario, poi di ruolo – conosce bene gli studenti italiani di oggi. Una generazione scoraggiante, irrecuperabile, bovinamente supina. Ragazzi che, in cima alla scala delle proprie aspirazioni, pongono quella di partecipare ad Amici e, al secondo posto, “almeno conoscere qualcuno che abbia partecipato ad Amici”. Adolescenti viziati da genitori disposti a procurare certificati medici fasulli che consentano di uscire dall’aula per andare in bagno ogni dieci minuti, e pronti a denunciare l’insegnante al primo brutto voto (non importa se meritato). Allievi ormai resi incontrollabili da docenti sempre più demotivati, confusi – troppo entusiasti o troppo negligenti e fiaccati da uno stipendio ridicolo e da obblighi burocratici assurdi e contraddittori. Ma Perboni non teme più nulla perché ha messo a punto il suo personale metodo da carogna… Questo romanzo è il diario di un anno di scuola. E, raccontando interrogazioni da purga staliniana, inquietanti consigli docenti e surreali colloqui con i genitori, insinua nel lettore il sacrosanto sospetto che il quadro della scuola dipinto da Perboni rispecchi perfettamente la disperante realtà delle aule italiane.

l’uomo che sapeva contare

In una fantastica cornice romanzesca ci si svela la vita di Beremiz Samir: di come, con l’aiuto della matematica, riuscì prima a sbarcare il lunario, poi a conquistare il cuore di una donna e la stima di uomini potenti e ricchi e saggi, di come capì che la matematica non possa mai accompagnarsi alla dissolutezza e all’immoralità. Tra i bazar di Baghdad, i souk, i caravanserragli, le moschee ed i profumi inebrianti dei mercati delle spezie, Beremiz dimostrò le meraviglie e i piaceri della matematica.
Nel magico Oriente, una storia incantata per entrare nel mondo della matematica, per penetrare il segreto dei numeri, per capire il loro stretto legame con i grandi problemi filosofici e morali dell’uomo.
Per dimostrare che la matematica possiede non solo verità, ma anche suprema bellezza.