due bicchieri

Un matematico quando va a dormire porta sul comodino due bicchieri uno pieno d’acqua ed uno vuoto.
Sapete perchè?
Se ha sete oppure no.

 

“La mente non ha bisogno, come un vaso di essere empita,
ma piuttosto, come legna,
di una scintilla che l’accenda,
vi infonda l’impulso della ricerca e un amore ardente per la verità”

Plutarco, L’arte di ascoltare

Racconto non euclideo

 

  

A e B si amavano da tempo ma non erano propriamente felici.
E non perché si trovassero lontani.
Non era questo ciò che li tormentava, in fondo ci erano abituati.
Il punto che infastidiva quei due piccoli punti era che tra di loro passasse una, e una sola, linea retta.
La cosa era ben regolamentata dal quinto postulato di Euclide, c’era poco da fare.
Tra le tante rette che c’erano, ad A e B era capitata in sorte proprio una delle più odiose e antipatiche di tutta la geometria.
r si chiamava. Passava tra di loro ogni volta con sfacciataggine e superbia, nel suo infinito distendersi, con aria da dritta.

Una volta che A e B se ne stavano bellamente rappresentati su un foglio di carta di uno studentello di matematica successe tuttavia qualcosa di imprevisto.
B vide che il giovane, dopo averlo indicato sulla carta insieme alla sua compagna A, si apprestava a tracciare tra loro la famigerata nemica e provò perciò a fermarlo.
– “Non lo fare!” Lo implorò. E gli raccontò la sua triste vicenda per cercare di impietosirlo e di dissuaderlo.
Il giovane rimase molto colpito da quella storia.
Non aveva mai considerato la matematica sotto quell’aspetto, prima di allora.
E siccome era un osso veramente duro e un gran cervellone, promise che avrebbe fatto qualcosa per loro.
A e B sorrisero, davanti a tanta ingenuità. La matematica non è certo un’opinione, come sapevano bene.
E sapevano altrettanto [anzi, alquattrettanto] bene che quel giovane non avrebbe potuto fare assolutamente nulla per loro.
– “Grazie lo stesso, amico mio.” Gli disse A con le lacrime agli occhi. E continuò: “E adesso fa pure quel che devi. Lo sappiamo che devi tacciare quella r, e che non è colpa tua.”
– “Si fa pure, è giusto. E’ il nostro destino, questo.” Ammise anche B e poi si lamentò. “Se lo spazio fosse curvo non avremmo di questi problemi!”
”Già.” Gli fece eco B con voce straziante. “Se lo spazio fosse curvo anche le rette non sarebbero dritte, ma curve… r la finirebbe di spadroneggiare, e noi potremmo fare come ci pare.”
Ma davanti alle loro sofferenze a quel giovane non restava che rassegnarsi.
Nonostante l’impegno, per quante traiettorie alternative si prodigasse a immaginare nel piattume di quello spazio euclideo bidimensionale, la via più breve, per congiungere A e B restava sempre e solo quella unica maledetta retta r.
Dopo che la ebbe tracciata il giovane guardò quel foglio con odio e disprezzo.
Poi, in segno di sfida, lo appallottolò e lo gettò definitivamente nel cestino.
Nello stesso istante r cessò di essere una retta. Si ritrovò tortuosa, anziché dritta, nel suo percorso accartocciato.
A e B invece, come per magia, si ritrovarono per la prima volta attigui. Si abbracciarono e si baciarono felici, senza nessuna retta tra i piedi a rovinarne l’intimità. Avvinghiati in quella palla di carta per l’eternità come due amanti veri.

PS
Molti anni dopo, forse in seguito a questo episodio, quello stesso studentello di matematica, che si chiamava Gauss, prese in considerazione per la prima volta l’ipotesi di una geometria che negasse la verità del quinto postulato di Euclide, anche se non lasciò nulla di scritto, in proposito.
Qualche anno dopo, Lobachevsky e Bolyai , ognuno in modo indipendente, ma nello stesso periodo, svilupparono e pubblicarono i primi lavori sulle geometrie non euclidee, mostrando la possibilità logica di geometrie non intuitive, che negavano che per due punti passasse una sola retta.
Le analisi speculative di questi uomini, sembra che non avessero nessuna applicazione pratica e rimasero per anni inutilizzate. Almeno fino a quando, molto più tardi, Einstein le utilizzò per descrivere il suo spazio curvo alla base della teoria della relatività.

frazione

 L’uomo è come una frazione al cui numeratore c’è quello che è  e al cui denominatore c’è quello che pensa di se stesso. 

Più è grande il denominatore più è piccola la frazione.

(Lev Tolstoy ) Â